La storia prende il via all'inizio dell'Ottocento quando immigrati italiani provenienti per lo più da Liguria, Campania e Puglia approdano a Kerc (oggi città di circa centocinquantamila abitanti) allettati da buoni guadagni, dalle terre fertili della regione e da un mare pescoso. In prevalenza sono, agricoltori, pescatori, muratori e addetti alla cantieristica navale. Nel 1840 vi era stata già costruita una chiesa cattolica che ancora oggi è denominata "la chiesa degli italiani". Altre città dove trovarono dimora gli italiani furono: Feodosia, Simferopoli, Odessa, Mariupol.
Nel 1915 a Kerc gli italiani avevano costruito anche una scuola elementare, una biblioteca, una sala riunioni, un club e una società cooperativa. Il giornale locale pubblicava regolarmente articoli in italiano. Con l'avvento al potere del comunismo, per la comunità italiana in Crimea inizia la persecuzione e chi riesce decide di tornare in patria. Nel periodo tra il 1395 e il 1938 durante le purghe staliniane molti italiani sparirono nel nulla, arrestati con l'accusa di spionaggio. Le cose peggiorarono in piena seconda guerra mondiale; nei primi mesi del 1942 la minoranza italiana venne deportata. A ciascuno fu consentito di portare un bagaglio non superiore a otto chili. Fu un viaggio in treno verso l'interno estenuante durante i quali alcuni morirono, altri persero la vita nei campi di lavoro forzato. Si calcola che solo il 20% sopravvisse al termine del conflitto e poté fare ritorno in Crimea, ai quali furono tolti tutti gli averi, persino la terra del cimitero acquistata per seppellire i defunti.
Oggi nella penisola di Crimea si contano circa 500 italiani la maggior parte a Kerc, dove è presente l'associazione C.E.R.K.I.O. (Comunità degli Emigrati in Regione di Krimea - Italiani di Origine).
I sopravvissuti che portano nomi e cognomi italiani raccontano le vicissitudini degli anni difficili, come la deportata Giovannella Fabiano: <Ci portarono prima in nave, poi in treno, su vagoni solitamente dedicati al bestiame. In Kazakistan faceva molto freddo e noi non avevamo vestiti pesanti ne calzature>. Natale De Martino racconta: <Molti morirono durante il percorso, morirono per il freddo, la fame e le malattie. Noi che riuscimmo ad arrivare in Kazakistan fummo trattati come nemici con tutta la crudeltà possibile. Gli italiani lavoravano nei Kolchoz e ricevevano una razione scarsa di cibo; un pochino di grano e qualche patata, poi tutti gli idonei furono presi per i lavoro forzati, pochissimi tornarono a casa>. Il giovane Alessio Dell'Olio, nipote di deportati, dice: <Studio l'italiano in onore di mia nonna, voglio riprendermi le radici strappate con la violenza, fino a qualche anno fa non potevamo parlarlo, era pericoloso perché il regime comunista lo vietava, si rischiava di essere perseguitati>.
Ad oggi la vicenda degli italiani in Crimea è in parte dimenticata al pari di altre come quella degli esuli istriani e giuliani o degli italiani cacciati dalla Libia. Gli italiani in Crimea continuano ancora a non essere riconosciuti come minoranza.
Vox clamantis in deserto
Bell'articolo!!!
RispondiEliminaLa libertà è la radice della vita