venerdì 7 marzo 2014

Italiani di Crimea


La vicenda degli italiani in Crimea è una delle pagine di storia meno conosciute. La stessa Crimea, se non fosse al centro delle recenti cronache per la riedizione di un caso di guerra fredda, difficilmente sarebbe una regione ucraina a maggioranza russa conosciuta nel nostro paese.

La storia prende il via all'inizio dell'Ottocento quando immigrati italiani provenienti per lo più da Liguria, Campania e Puglia approdano a Kerc (oggi città di circa centocinquantamila abitanti) allettati da buoni guadagni, dalle terre fertili della regione e da un mare pescoso. In prevalenza sono, agricoltori, pescatori, muratori e addetti alla cantieristica navale. Nel 1840 vi era stata già costruita una chiesa cattolica che ancora oggi è denominata "la chiesa degli italiani". Altre città dove trovarono dimora gli italiani furono: Feodosia, Simferopoli, Odessa, Mariupol.  
Nel 1915 a Kerc gli italiani avevano costruito anche una scuola elementare, una biblioteca, una sala riunioni, un club e una società cooperativa. Il giornale locale pubblicava regolarmente articoli in italiano. Con l'avvento al potere del comunismo, per la comunità italiana in Crimea inizia la persecuzione e chi riesce decide di tornare in patria. Nel periodo tra il 1395 e il 1938 durante le purghe staliniane molti italiani sparirono nel nulla, arrestati con l'accusa di spionaggio. Le cose peggiorarono in piena seconda guerra mondiale; nei primi mesi del 1942 la minoranza italiana venne deportata. A ciascuno fu consentito di portare un bagaglio non superiore a otto chili. Fu un viaggio in treno verso l'interno estenuante durante i quali alcuni morirono, altri persero la vita nei campi di lavoro forzato. Si calcola che solo il 20% sopravvisse al termine del conflitto e poté fare ritorno in Crimea, ai quali furono tolti tutti gli averi, persino la terra del cimitero acquistata per seppellire i defunti.

Oggi nella penisola di Crimea si contano circa 500 italiani la maggior parte a Kerc, dove è presente l'associazione C.E.R.K.I.O. (Comunità degli Emigrati in Regione di Krimea - Italiani di Origine).
I sopravvissuti che portano nomi e cognomi italiani raccontano le vicissitudini degli anni difficili, come la deportata Giovannella Fabiano: <Ci portarono prima in nave, poi in treno, su vagoni solitamente dedicati al bestiame. In Kazakistan faceva molto freddo e noi non avevamo vestiti pesanti ne calzature>.  Natale De Martino racconta: <Molti morirono durante il percorso, morirono per il freddo, la fame e le malattie. Noi che riuscimmo ad arrivare in Kazakistan fummo trattati come nemici con tutta la crudeltà possibile. Gli italiani lavoravano nei Kolchoz e ricevevano una razione scarsa di cibo; un pochino di grano e qualche patata, poi tutti gli idonei furono presi per i lavoro forzati, pochissimi tornarono a casa>. Il giovane Alessio Dell'Olio, nipote di deportati, dice: <Studio l'italiano in onore di mia nonna, voglio riprendermi le radici strappate con la violenza, fino a qualche anno fa non potevamo parlarlo, era pericoloso perché il regime comunista lo vietava, si rischiava di essere perseguitati>.

Ad oggi la vicenda degli italiani in Crimea è in parte dimenticata al pari di altre come quella degli esuli istriani e giuliani o degli italiani cacciati dalla Libia. Gli italiani in Crimea continuano ancora a non essere riconosciuti come minoranza.

Vox clamantis in deserto