sabato 21 marzo 2020

Coronavirus e la colonna infame




Milano, 1630. Il barbiere Gian Giacomo Mora e il commissario di sanità Guglielmo Piazza vengono condannati a morte. Il Ducato di Milano è sconvolto dall'epidemia di peste, che ucciderà 64.000 persone. Mora è accusato di aver prodotto un unguento che, contrariamente alla sua intenzione, sempre secondo i giudici, è un prodotto malefico diffuso dal Piazza, su suggerimento del primo al fine di diffondere il contagio. L'accusatrice è Caterina Rosa, che vide il Piazza mentre camminava vicino a un muro di un edificio vi si appoggiava con la mano. Segnale, secondo l'epoca, che vi stesse spargendo una sostanza venefica. I due dapprima negarono di essere "untori". Sottoposti a tortura, confessarono. E fecero il nome di altri "untori". Nel tragitto che portava all'esecuzione, Mora fu attanagliato con pinze roventi, gli fu tagliata la mano destra, spezzate le ossa, esposto al pubblico e infine dopo sei ore di agonia, fu ucciso con il taglio della gola. Il corpo fu bruciato e le ceneri disperse.
La casa di Gian Giacomo Mora venne distrutta e in segno di monito, al su posto fu eretta una colonna. Alessandro Manzoni rese celebre questi fatti con il saggio storico "Storia della colonna infame".
"Dio solo ha potuto vedere se que' magistrati, trovando i colpevoli d'un delitto che non c'era, ma che si voleva, furono più complici o ministri d'una moltitudine che, accecata, non dall'ignoranza, ma dalla malignità e dal furore, violava con quelle grida i precetti più positivi della legge divina di cui si vantava seguace" (Cit. dall'Introduzione della Storia della colonna infame).
La colonna fu abbattuta nel 1778.

Oggi, tutta la penisola, specialmente il Nord Italia è alle prese con la pandemia del Coronavirus (Covid-19). Le autorità, al fine di circoscrivere il contagio, impongono restrizioni sulla libertà di circolazione. Ma è, in primis, al buon senso di ogni persona che è affidata la capacità di sapersi comportare in situazioni alle quali nessuno di noi è preparato.

Historia magistra vitae