E’ stato il più grande tributo di
sangue dalla fine della seconda guerra mondiale: 12 carabinieri, 5 militari
dell’esercito e 2 giornalisti, oltre cinquanta i feriti e 9 i morti fra gli
iracheni.
Le dinamiche dell’attentato sono ormai
note. Erano le 10.40 del 12 novembre 2003 quando un camion cisterna pieno di esplosivo
sopraggiunge e salta in aria davanti alla base della Msu (Multinational
Specialized Unit) provocando l’esplosione del deposito di munizioni. Le ipotesi
e le polemiche sulla vulnerabilità della base sono molteplici.
Aureliamo Amadei, regista sopravvissuto alla strage, in un intervista dichiara
<la prima cosa che ho notato alla base
è che c’era una enorme differenza tra la base che avevo incontrato nel deserto
e questa nel centro di Nassiriya, assomigliava alle caserme dei Carabinieri in
una città occidentale, aveva semplicemente una curva per entrare, una semplice
sbarra di ingresso e una recinsione di hesco bastion molto bassa intorno>
e prosegue <i carabinieri che vivevano
nella base erano a perfetta conoscenza del pericolo e avevano più volte inviato
rapporti sulla situazione>.
Meno netta la posizione del giornalista di guerra Fausto Biloslavo che sostiene
<la base sarebbe stata resa
parzialmente sicura solo dal blocco del ponte e della via principale davanti
alla caserma>.
L’ex brigadiere dei Carabinieri
Piero Follesa, congedato per disturbo da stress post-traumatico, dichiara che
la caserma fu attaccata perché non abbastanza protetta.
L’inchiesta condotta dall’Esercito
sostiene che la base posta la centro della città era erroneamente priva di un
percorso a zig-zag per entrare al suo interno, differente la conclusione a cui
giunge l’inchiesta dei Carabinieri che non evidenzia omissioni in merito all’organizzazione
della sicurezza della base.
La certezza di aver perso degli
uomini che compievano il loro dovere come ogni giorno e ai quali va il nostro
perpetuo ricordo e la nostra preghiera.
Requiem aeternam
dona eis, Domine.
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